Si configura in capo all’Italia la responsabilità extracontrattuale per il danno causato alla vittima di una violenza sessuale (reato intenzionale violento) residente in Italia, i cui autori, resisi latitanti, non le hanno versato la somma riconosciuta a seguito di sentenza di condanna quale risarcimento del danno. La Corte di Giustizia Ue, con la sentenza del 16 luglio 2020 causa C-129/19, rispondendo a una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte suprema di cassazione, ha così bacchettato il Belpaese che non ha trasposto in tempo utile l’art. 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80, non self executing: il tardivo recepimento ha comportato la mancata istituzione di un sistema di indennizzo delle vittime di reati violenti, che avrebbe fatto sorgere in prima istanza e in modo diretto una responsabilità risarcitoria dello Stato membro nei confronti di soggetti transfrontalieri e, in seconda istanza, un’analoga responsabilità nei confronti di soggetti non transfrontalieri (dunque, residenti), in via di estensione dell’effetto utile della direttiva stessa, per evitare una violazione del principio di uguaglianza/non discriminazione. Dalla decisione discende l’obbligo per gli Stati Ue di versare un indennizzo a tutte le vittime di reati intenzionali violenti, anche a favore di chi risiede residenti nel territorio degli stessi Stati membri, indennizzo che non può essere puramente simbolico o manifestamente insufficiente alla luce della gravità delle conseguenze del reato per tali vittime: sarà “equo ed adeguato” se compensa, in misura appropriata, le sofferenze alle quali le vittime sono state esposte.