Pronunciandosi sul ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello aveva confermato la decisione del tribunale che aveva condannato un medico per il reato di falso ideologico in certificazioni amministrative (art. 481, c.p.) avendo egli utilizzato una ricetta “bianca” con cui disponeva due prescrizioni farmacologiche a base di testosterone per fare un favore ad un soggetto che aveva necessità di anabolizzanti, dopo aver in un primo momento affermato che erano destinate al proprio suocero, operato da poco alla prostata, la Corte di Cassazione (sentenza 19 ottobre 2020, n. 28847) – nel disattendere la tesi difensiva, secondo cui le due ricette in questione non potevano costituire certificati, bensì solo scritture private aventi natura autorizzativa, posto che non contenevano alcuna attestazione di fatti di cui l’atto stesso era destinato a provare la verità, trattandosi di ricette su carta bianca in cui si prescriveva un farmaco senza dare atto di uno stato patologico – ha diversamente affermato che il documento costituito dalla ricetta “bianca” conserva intatta la propria valenza certificativa – su cui, quindi, può innestarsi il falso ideologico – nella misura in cui il medico attesta, attraverso la prescrizione, che l’assistito ha diritto a quella specifica prestazione o a quel determinato farmaco, a prescindere, quindi, dalla peculiare modalità con cui l’accertamento medico è stato effettuato, il quale resta, in questa tipologia di documenti, in un certo senso sullo sfondo, nella misura in cui non è richiesta una specifica tipologia di verifica da parte del medico, che non deve essere neanche attestata. Ciò che rileva infatti, per la S.C., è l’attestazione che l’assistito rientri nella categoria dei soggetti aventi diritto alla specifica prestazione farmacologica.
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