Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui il Tribunale aveva condannato il titolare di una società per aver effettuato la raccolta e lo stoccaggio di scarti di vegetazione provenienti dall’attività di giardinaggio, depositandoli in maniera incontrollata in area pubblica in assenza della prescritta autorizzazione, la Corte di Cassazione (sentenza 9 marzo 2020, n. 9348) – nel disattendere la tesi difensiva secondo cui secondo cui il novellato art. 185 d.lgs. n. 152/2006 avrebbe determinato un definitivo svincolamento tra il materiale di scarto e la relativa destinazione, con conseguente irrilevanza penale del fatto -, ha infatti affermato che “gli sfalci e potature” che non costituiscono rifiuto, sono solo quelli derivanti da buone pratiche colturali o dalla manutenzione del verde pubblico, sempreché siano riutilizzati in agricoltura, silvicoltura o per la produzione di energia da biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione o a mezzo cessione a terzi e sempre che siano seguìte delle procedure che non danneggino l’ambiente o mettano in pericolo la salute umana. Ne consegue, dunque, che dalla formulazione della norma è ricavabile la regola di giudizio che “gli sfalci e potature” sono comunque dei rifiuti per i quali vale la deroga stabilita nell’art. 185 d.lgs. n. 152/2006, nei limiti in cui siano gestiti e riutilizzati a servizio dell’agricoltura, silvicoltura o produzione di energia non inquinante.
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