Pronunciandosi su un caso “tedesco” in cui si discuteva della legittimità dell’ordine impartito dalla polizia tedesca nei confronti di un soggetto, indagato per ricettazione di merce rubata, di acquisire anziché i suoi dati identificativi classici, solo i dati personali caratterizzanti (impronte digitali, impronte del palmo di una mano, tatuaggi esistenti sul corpo), la Corte EDU, ha escluso, all’unanimità, che vi fosse stata la violazione dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza), della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La vicenda riguardava un ordine della polizia di raccogliere informazioni per identificare il ricorrente, come ad esempio fotografie del viso e del corpo, compresi possibili tatuaggi, nonché impronte digitali del palmo della mano e delle dita. Il ricorrente si era lamentato che l’ordine della polizia di raccogliere i dati di identificazione aveva violato i suoi diritti tutelati dall’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e corrispondenza) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La Corte EDU (sentenza 11 giugno 2020 n. 74440/17), nel disattendere la tesi del ricorrente, ha ritenuto non solo che l’acquisizione di tali dati identificativi riguardanti la sua descrizione fisica fosse meno invadente rispetto alla conservazione di una fotografia, ma anche che la conservazione di tali dati fosse parimenti meno invasiva rispetto ai campioni “cellulari” ed ai profili del DNA. Legittima è stata poi ritenuta l’interpretazione fornita dai giudici tedeschi circa la liceità della acquisizione e conservazione di tali dati identificativi, in quanto frutto di una valutazione individualizzata in ordine alla probabilità che il ricorrente potesse essere sospettato nuovamente di aver commesso un reato, valutazione basata sulla natura, sulla gravità e sul numero di reati per i quali egli era stato precedentemente condannato. Sul punto, i giudici europei hanno rilevato che il ridotto arco temporale “futuro” che questa valutazione prevedeva (cinque anni), unitamente alla possibilità di un controllo giurisdizionale, escludevano qualsiasi rischio di protezione insufficiente contro l’accesso non autorizzato o la diffusione dei dati. In definitiva, dunque, la durata limitata ed il limitato effetto della conservazione dei dati sulla vita quotidiana del ricorrente costituivano sufficienti garanzie per escludere la violazione dell’art. 8 CEDU.