Pronunciandosi su un caso “turco” in cui si discuteva della legittimità della condanna inflitta al ricorrente per aver partecipato ad una manifestazione a favore di un partito politico ritenuto sovversivo dalle autorità turche (il noto PKK), la Corte EDU, ha ritenuto, all’unanimità (sentenza 19 maggio 2020, n. 45540/09), che vi fosse stata sia la violazione dell’articolo 11 (diritto alla libertà di riunione) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La vicenda riguardava la condanna del ricorrente per la sua adesione al PKK, un’organizzazione armata considerata illegale, in violazione degli articoli 220 § 6 e 314 del codice penale. Il tribunale di primo grado aveva ritenuto che il ricorrente avesse agito per conto del PKK, e, che, pertanto, dovesse ritenersi come membro di tale organizzazione sulla base di una serie di elementi: a) l’aver partecipato ad una manifestazione tenutasi il 27 gennaio 2008, a volto coperto, inneggiando slogan a favore del PKK e portando uno stendardo che recitava “Youth to HPG” (ossia lunga vita all’HPG, l’ala armata del PKK) durante la manifestazione. Il ricorrente era stato per questo condannato a sei anni e tre mesi di reclusione e, per tale ragione, si era rivolto alla Corte di Strasburgo ritenendo violati gli articoli 6 § 2, 7, 10 e 11 della Convenzione EDU. La Corte EDU, nel ritenere di dover valutare la denuncia unicamente sotto il profilo dell’asserita violazione dell’art. 11 CEDU, ha accolto il ricorso e, in particolare, non ha ritenuto legittima l’interferenza con il diritto alla libertà di riunione del ricorrente, in quanto non “prescritta dalla legge” ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 2, della Convenzione, attesa l’imprevedibilità della condanna in base alla norma che, apparentemente, era stata invocata per giustificarla.
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