Pronunciandosi su un caso “albanese”, in cui si discuteva della correttezza e legittimità dell’attività posta in essere dall’autorità giudiziaria che aveva sospeso il procedimento penale avviato contro l’ex marito della denunciante, aggredita e sfigurata con l’acido mentre si trovava a passeggio in compagnia di alcuni colleghi, la Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza 4 agosto 2020, n. 48756/14), pur ritenendo che lo Stato non potesse essere ritenuto responsabile dell’aggressione perché le autorità non erano a conoscenza di alcuna minaccia nei confronti della donna né della condotta violenta che in passato il suo ex marito, che ella sospettava vi fosse dietro l’aggressione, aveva tenuto nei confronti della vittima, ha tuttavia ritenuto all’unanimità violato l’art. 2 (diritto alla vita) della CEDU, sotto l’aspetto procedurale, in quanto l’indagine sull’aggressione, che costituiva un tipico atto di violenza di genere e avrebbe dovuto quindi spingere le autorità a reagire con particolare diligenza, non fosse riuscita ad identificare il tipo di sostanza lanciata contro la donna, né quest’ultima era stata tenuta informata sull’andamento dell’inchiesta, nonostante le sue ripetute istanze sullo stato delle indagini. La Corte non ha dunque potuto accettare che, in tali circostanze, la risposta delle autorità all’aggressione con l’acido fosse stata efficace.
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