Pronunciandosi su un caso “turco” in cui si discuteva della legittimità della condanna pecuniaria inflitta ad un giornalista per aver pubblicato un articolo ritenuto diffamatorio, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto, all’unanimità, che c’era stata una violazione dell’articolo 6 § 1 (diritto di accesso a un tribunale) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e, a maggioranza, che non vi era stata alcuna violazione dell’articolo 10 (libertà di espressione). Il caso riguardava un’ammenda inflitta al ricorrente per un articolo pubblicato nel 2007 nel periodico Tokat Demokrat, descrivendo gli autori degli “eventi di Kızıldere”, tra gli altri come “idoli della giovinezza”. Gli eventi in questione si svolsero nel marzo 1972, quando tre cittadini britannici dipendenti della NATO erano stati sequestrati ed uccisi dai loro rapitori. Il ricorrente era stato condannato nel 2008 dal Tribunale, che aveva constatato che l’articolo inneggiava ai ribelli coinvolti in quegli eventi. La Corte (sentenza 10 marzo 2020, n. 50495/08) ha dichiarato quanto segue: a) il ricorrente aveva subito una restrizione sproporzionata al suo diritto di accesso a un tribunale in quanto non era stato in grado di presentare il ricorso per cassazione avverso una condanna decisa in primo grado perché l’importo dell’ammenda non raggiungeva l’importo minimo previsto per proporre ricorso. La Corte ha operato sul punto una interessante rassegna dei suoi precedenti; b) l’interferenza con il diritto alla libertà di espressione del ricorrente non era stata sproporzionata rispetto ai fini legittimi perseguiti. La Corte ha ritenuto, in particolare, che le espressioni utilizzate nell’articolo sugli autori degli “eventi di Kızıldere” e le loro azioni, in astratto potevano essere considerate come inneggianti, o almeno tali da giustificare, la violenza. La Corte EDU ha tenuto conto del margine di apprezzamento concesso alle autorità nazionali in tali casi e dell’importo ragionevole dell’ammenda inflitta al ricorrente. Inoltre, era importante ridurre al minimo il rischio che tali scritti potessero incoraggiare o spingere alcuni giovani, in particolare i membri o i simpatizzanti di alcune organizzazioni illegali, a commettere atti violenti simili, allo scopo di diventare essi stessi “idoli della gioventù”. Le espressioni usate avevano dato l’impressione all’opinione pubblica – e in particolare alle persone che condividevano opinioni politiche simili a quelle promosse dagli autori dei fatti in questione – che, al fine di soddisfare uno scopo che costoro consideravano legittimo per ragioni ideologiche, l’uso della violenza poteva essere ritenuto necessario e giustificato.
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