Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la ordinanza con cui il tribunale non aveva convalidato l’arresto di un soggetto, indagato per i reati di cui agli artt. 73, commi 1 e 4, d.P.R. 309/90 in relazione alla detenzione e coltivazione illecita di sostanza stupefacente del tipo marijuana (gr. 635, suddivisa in vari involucri, oltre gr. 135 di inflorescenze e n. 350 piantine), destinate, secondo il PM, ad uso non esclusivamente personale, la Corte di Cassazione (sentenza 10 giugno 2020, n. 17838) – nel disattendere la tesi del PM, che aveva proposto ricorso per cassazione, secondo cui il giudizio di prognosi postuma ex ante induceva a ritenere giustificato l’operato della p.g. con riferimento ai seri e obiettivi elementi di fatto rilevati all’atto della perquisizione e del sequestro dello stupefacente (detenzione in atto di marijuana e coltivazione non autorizzata di piante di cannabis), per cui è previsto l’arresto obbligatorio – ha invece affermato che se la p.g. si fosse limitata a denunciare a piede libero l’indagato, sequestrando le piante in crescita e i prodotti raccolti ed espletando nelle more un’analisi laboratoristica, all’esito della quale accertare se fosse eventualmente applicabile la disciplina di cui all’art. 1 l. 242/2016 o se, viceversa, il fatto dovesse essere ricondotto al d.P.R. 309/90, il risultato sarebbe stato raggiunto in maniera più coerente e adeguata, non essendovi alcun pericolo (atteso il sequestro di tutta la sostanza) di dispersione o di destinazione a terzi dello stupefacente.
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