Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello aveva confermato la condanna inflitta in primo grado ad un soggetto per il delitto di oltraggio a magistrato in udienza, la Corte di Cassazione (sentenza 11 febbraio 2020, n. 5456) – nel disattendere la tesi difensiva secondo cui i fatti sarebbero avvenuti ad udienza conclusa e non vi sarebbe stata un’offesa alla persona del magistrato ma una critica all’esercizio dell’attività giudiziaria, dunque scriminata ai sensi dell’art. 51, c.p. – ha, infatti, affermato che il magistrato deve considerarsi in udienza tutte le volte in cui, in una qualsiasi fase processuale, amministri giustizia con l’intervento delle parti, non essendo rilevante l’assenza di minacce od urla (che possono semmai integrare la circostanza aggravante di cui al comma 3 dell’art. 343, c.p.), né, infine, potendo ritenersi inquadrabile la condotta nella scriminante invocata, atteso che l’accusa di aver fatto sparire un fascicolo processuale non può essere letta che come un attacco all’onestà ed all’integrità del magistrato, del tutto eccentrica rispetto ai temi della sentenza appena pronunciata, rendendo perciò manifesta la volontà dell’imputato di offendere la persona del giudice e non di criticare il prodotto del suo operato.
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