Pronunciandosi su un caso “italiano” in cui si discuteva della legittimità della decisione della Corte di cassazione che aveva dichiarato inammissibile un ricorso proposto da un soggetto, condannato per il reato di guida in stato di ebbrezza, la Corte europea dei diritti dell’uomo, seppure a maggioranza (6 voti favorevoli e 1 contrario), ha, da un lato, riscontrato la violazione dell’art. 6 (diritto all’equo processo) e, dall’altro, escluso invece la violazione dell’art. 7 (nulla poena sine lege) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il caso riguardava un procedimento penale che aveva portato alla condanna del ricorrente per guida in stato di ebbrezza. Questi aveva sostenuto che la pena detentiva inflittagli era illegittima, in quanto frutto dell’applicazione di una normativa penale sopravvenuta al fatto, più sfavorevole. In particolare, si era lamentato del fatto che non gli erano state riconosciute le circostanze attenuanti generiche, conformemente alla legge vigente al momento dei fatti e successivamente modificata. Si era anche lamentato della mancanza di motivazione della sentenza pronunciata dalla Corte di cassazione davanti alla quale aveva proposto ricorso. La Corte di Strasburgo ha ritenuto fondata tale seconda doglianza, rilevando che la Corte di cassazione aveva omesso di motivare la propria decisione, ossia non aveva esaminato il motivo di ricorso attinente al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti. Ha tuttavia escluso che il ricorrente fosse stato sanzionato in base alla nuova legge penale, divenuta applicabile dopo i fatti (Corte europea diritti dell’uomo, sez. I, sentenza 6 febbraio 2020 n. 44221/14).
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