La Suprema Corte di cassazione (sentenza 13 gennaio 2020, n. 844) torna sulla tematica della nozione di abuso edilizio e sulla possibilità di sospendere e/o revocare l’ordine di demolizione del manufatto (totalmente o parzialmente) abusivo, affermandone la possibilità solo in caso di abuso edilizio di necessità. La possibilità o meno di accordare rilievo al diritto di abitazione a fronte della soccombenza dell’interesse pubblico all’osservanza della normativa in materia edilizia deve fondarsi, infatti, su di un giudizio di proporzionalità tra i due diritti, da effettuarsi non già in termini astratti, bensì valorizzando tutte le singole circostanze in cui è venuto articolandosi il caso concreto. In altri termini, non esiste un diritto assoluto di abitazione, laddove legittima risulta la sanzione ripristinatoria della demolizione di un manufatto abusivo, in ragione del diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato e a ripristinare l’equilibrio urbanistico-edilizio. I Giudici della nomofilachia specificano, inoltre, che per stabilire la natura parziale o totale della difformità fra quanto eseguito e quanto assentito deve farsi riferimento esclusivamente al corpus delle opere oggetto di attuale intervento; con l’ovvio corollario che non integra certamente un’ipotesi di parziale difformità, costituendo, viceversa, un intervento in assenza di permesso, la realizzazione di un manufatto del tutto nuovo, ancorché esso sia innestato su di una preesistente struttura di per sé conforme agli strumenti ed alle prescrizioni urbanistiche.