Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello, ribaltando quella di primo grado, aveva assolto un imputato dal reato di minaccia aggravata, per aver minacciato, dopo averlo offeso, un automobilista con cui aveva avuto un diverbio, brandendo al suo indirizzo un piccone, la Corte di Cassazione (sentenza 9 aprile 2020, n. 11708) – nell’accogliere la tesi della parte civile, che aveva impugnato la sentenza d’appello, secondo cui, avendo l’imputato utilizzato il piccone nello scendere dalla propria autovettura, dirigendosi verso la persona offesa, non poteva negarsi la sussistenza dell’aggravante – ha diversamente affermato che il comportamento consistente nell’armarsi di un piccone, mostrandolo dopo aver proferito frasi ingiuriose, ben può dirsi integrante una condotta minacciosa grave ex art. 612 c.p., in quanto, trattandosi di un reato di pericolo, la minaccia va valutata con criterio medio ed in relazione alle concrete circostanze del fatto, sicchè non è necessario che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito, essendo sufficiente che la condotta dell’agente sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale della vittima, il cui eventuale atteggiamento minaccioso o provocatorio non influisce sulla sussistenza del reato, potendo eventualmente sostanziare una circostanza che ne diminuisca la gravità, come tale esterna alla fattispecie.