Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello aveva confermato la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare, che aveva assolto dal reato di peculato alcuni consiglieri regionali per essersi appropriati dei fondi pubblici della Regione, previsti per il finanziamento delle attività dei Gruppi consiliari dalla Legge Regionale, in particolare compiendo una serie di spese non giustificabili, per le quali si era chiesto ed ottenuto indebitamente il rimborso, imputandole al fondo per il funzionamento dei Gruppi Consigliari regionali, la Corte di Cassazione (sentenza 9 luglio 2020, n. 20535) – nell’accogliere la tesi del PM, che aveva impugnato la sentenza assolutoria, secondo cui le uniche ‘spese rimborsabili’ erano quelle strumentali al perseguimento dei fini istituzionali, nonché quelle volte a soddisfare la funzione rappresentativa esterna del gruppo consigliare, con lo scopo di accrescerne il prestigio e l’immagine, con esclusione invece delle spese sostenute dal singolo consigliere per l’attività di “parte, come quella tipica del partito politico di appartenenza politica” – ha in particolare affermato che non sono “spese di rappresentanza” tutte quelle estranee alla rappresentanza del gruppo, all’accrescimento della sua capacità operativa all’interno del Consiglio, e connesse solo alla proiezione esterna ed alle esigenze di visibilità del consigliere o del partito di appartenenza.