Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione aveva rigettato l’istanza del condannato per ottenere l’applicazione del principio del “ne bis in idem” tra i fatti giudicati con sentenza di un Tribunale tedesco (“ricettazione organizzata e banda, falso in atto pubblico e banda”) e il fatto di riciclaggio per il quale, unitamente ad altri reati, egli era stato condannato con sentenza irrevocabile emessa in Italia, la Corte di Cassazione (sentenza 8 aprile 2020, n. 11664) – nel disattendere la tesi difensiva, secondo cui erroneamente il giudice dell’esecuzione era giunto ad una conclusione di non identità dei fatti materiali quando l’uomo era stato condannato in Germania per i reati di “ricettazione organizzata” e di “banda” sulla base di aver condotto in quel paese un veicolo provento di furto e il capo d’imputazione per “riciclaggio” della sentenza italiana individuava la condotta rilevante nell’aver condotto la vettura in Germania – ha diversamente ritenuto che il Giudice dell’esecuzione aveva fatto, nella sostanza, corretta applicazione dei principi già elaborati sul punto dalla giurisprudenza di legittimità, da un lato, esattamente distinguendo, dal punto di vista oggettivo e soggettivo, la condotta di ricettazione della vettura, sanzionata in Germania, da quella di riciclaggio ex art. 648-bis c.p., sanzionata in Italia, consistita nell’aver compiuto operazioni dirette ad ostacolare l’identificazione della provenienza da delitto della vettura in questione.