Pronunciandosi su un caso “croato” in cui si discuteva della legittimità delle decisioni delle autorità giudiziarie di negare ad un imputato, accusato del reato di violenza sessuale, la possibilità di celebrare l’udienza in presenza del pubblico, la Corte EDU, ha escluso, seppure a maggioranza (sei voti contro uno), che vi fosse stata la violazione dell’articolo 6 § 1 (diritto a un processo equo) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il punto centrale riguardava l’esistenza del corretto bilanciamento del diritto del ricorrente alla celebrazione dell’udienza pubblica nei procedimenti avviati nei suoi confronti con l’accusa di stupro e il diritto della vittima alla protezione della sua vita privata. La Corte di Strasburgo (sentenza 14 maggio 2020 n. 30373/13) ha riscontrato che la giustificazione delle autorità giudiziarie croate per escludere la presenza del pubblico dai processi, in particolare la protezione della vita privata della vittima, era stata ragionevole. Ha sottolineato in particolare che lo Stato era stato obbligato a proteggerla dalla c.d. vittimizzazione secondaria, data la natura particolarmente delicata del suo esame incrociato davanti al giudice, che necessariamente comportava la rivelazione di informazioni sugli aspetti più intimi della sua vita. Inoltre, tali informazioni avrebbero potuto essere divulgate in uno qualsiasi dei gradi del processo penale svoltosi nei confronti del ricorrente, e quindi disporre che solo una parte del procedimento dovesse svolgersi “a porte chiuse” non sarebbe stato sufficiente per proteggere la vittima da ulteriore imbarazzo e stigmatizzazione.
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