Con la sentenza n. 4395/2020, la Suprema Corte ha preso nettamente le distanze dall’orientamento per cui il consenso del minore – escludendo, ovviamente, soggetti in tenera età – andrebbe preso in considerazione ai fini del riconoscimento dell’attenuante speciale prevista dall’art. 609-quater, comma 5, c.p. Tale tesi, accolta in passato anche in alcune sentenze della stessa Corte, è stata invero ritenuta incompatibile col dato che il consenso del minore assuma una rilevanza assolutamente marginale ai fini della graduazione dell’intensità lesiva sofferta dalla vittima, e dunque dell’assunzione di una minore gravità della condotta sessuale dell’imputato, posto il vizio radicale del consenso derivante dall’età del soggetto passivo. Importante peraltro, anche ai fini della complessiva esegesi dei reati sessuali, è l’affermazione che “la mancata acquisizione del consenso [del minore] integrerebbe gli estremi (…) dell’art. 609-bis c.p. [“Violenza sessuale”]: è evidente, al riguardo, che la Suprema Corte dia per acquisita la “interpretatio abrogans” dei requisiti della violenza, minaccia ecc. prescritti dalla norma incriminatrice, dovendo la stessa essere re-interpretata – pur in modo condivisibile, almeno nella sostanza – come se fosse incentrata sul mero mancato consenso agli atti sessuali da parte della persona offesa.
Call Now Button