Pronunciandosi sul ricorso proposto avverso la ordinanza con cui il giudice, chiamato a convalidare un arresto di un soggetto per il reato di rapina del telefono cellulare in disponibilità della propria moglie, aveva invece negato la convalida ritenendo di dover qualificare il fatto come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, per il quale l’arresto non era consentito, la Corte di Cassazione (sentenza 28 settembre 2020, n. 26982) – nell’accogliere la tesi del PM, che aveva proposto ricorso per cassazione, secondo cui erroneamente il giudice aveva omesso di individuare e indicare quale fosse la pretesa giuridica tutelabile davanti all’autorità giudiziaria che il reo aveva ritenuto di esercitare – ha infatti ribadito che ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 393, c.p., occorre che l’autore agisca nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale, anche se detto diritto non sia realmente esistente; tale pretesa, inoltre, deve corrispondere perfettamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, e non mirare ad ottenere un qualsiasi “quid pluris”, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato.
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