Pronunciandosi sul ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’Appello, riformando la sentenza di primo grado, nel riqualificare i fatti contestati ad un imputato (inizialmente qualificati come estorsione) ai sensi dell’art. 393 c.p., aveva dichiarato non doversi procedere per difetto di querela, la Corte di Cassazione (sentenza 1 settembre 2020, n. 24617) – nell’accogliere la tesi del PM che aveva proposto impugnazione contro la sentenza di proscioglimento, secondo cui la condotta accertata integrava il reato di estorsione, non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni – ha, invece, affermato che integra il reato di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario con violenza o minaccia alle persone, la condotta di chi reclami la soddisfazione di un presunto diritto ponendo in essere condotte violente o minacciose in danno (anche) di soggetti terzi, estranei al rapporto obbligatorio dal quale scaturisce, nella prospettiva dell’agente, il diritto vantato.
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