Pronunciandosi sul ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello aveva confermato la condanna inflitta in primo grado ad un soggetto per il reato di truffa, avendo venduto a terzi un’autovettura con il contachilometri taroccato, la Corte di Cassazione (sentenza 17 marzo 2020, n. 10339) – nel disattendere la tesi difensiva secondo cui sarebbe mancato l’elemento oggettivo del reato, non essendo stato posto in essere alcun inganno nei confronti della vittima – ha invece rilevato l’inammissibilità del ricorso, perché, a fronte di una congrua ricostruzione dei fatti ad opera delle sentenze di merito, che avevano evidenziato come la vittima avesse abbia corrisposto all’imputato una somma per l’acquisto della vettura che, tra l’altro, la certificazione del P.R.A. aveva, poi, rivelato essere stata già precedentemente venduta dall’autosalone dell’imputato ad altri, quanto sostenuto non poteva essere ritenuto giuridicamente corretto.