Pronunciandosi su un caso “islandese” riguardante l’applicazione di uno dei corollari del diritto ad un “giusto processo”, ossia quello del diritto ad essere giudicato da un giudice precostituito per legge, la Grande Camera della Corte di Strasburgo (sentenza 1° dicembre 2020 n. 26374/18) ha confermato la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione europea dei Diritti dell’uomo, già ritenuta dalla Sez. II della Camera che se ne era occupata con una sentenza del 12.03.2019, poi rinviata per la decisione alla GC. I giudici europei hanno ritenuto, inoltre, a maggioranza (dodici voti contro cinque), che non fosse necessario esaminare le restanti doglianze proposte in relazione all’art. 6 § 1 (ossia, la violazione del diritto ad essere giudicato da un tribunale indipendente e imparziale) e, sempre a maggioranza (tredici voti contro quattro), che l’accertamento della violazione escludesse una riparazione pecuniaria a titolo di equa soddisfazione ex art. 41. Il caso traeva origine dall’affermazione del ricorrente secondo cui le nuove regole introdotte per la nomina dei giudici della Corte d’appello islandese (Landsréttur) non erano state stabilite dalla legge. La Corte ha rilevato in particolare che la procedura con cui un giudice era stato nominato alla Corte di appello rappresentava una flagrante violazione delle norme applicabili al momento dei fatti. Date le potenziali implicazioni dell’accertamento di una violazione e gli importanti interessi in gioco, la Corte ha però ritenuto che il diritto a un “giudice precostituito per legge” non dovrebbe essere interpretato in modo a tal punto ampio che qualsiasi irregolarità nella procedura di nomina giudiziaria rischierebbe di compromettere tale diritto. Ha quindi formulato un test in tre fasi per determinare se l’irregolarità in una nomina giudiziaria fosse di tale gravità da comportare una violazione del diritto a un giudice precostituito per legge. La Corte Edu ha osservato che negli ultimi decenni, il quadro giuridico che disciplina le nomine giudiziarie in Islanda aveva visto alcune importanti modifiche volte a limitare la discrezionalità ministeriale nel processo di nomina e rafforzando così l’indipendenza della magistratura. I controlli sul potere ministeriale erano stati ulteriormente intensificati in relazione alla nomina dei giudici della Corte di Appello di recente istituzione, dove il Parlamento era stato incaricato di approvare la nomina di ogni candidato proposto dal Ministro della giustizia, al fine di rafforzare la legittimità di questo nuovo giudice. Tuttavia, come rilevato dalla Corte suprema islandese, questo quadro giuridico era stato violato, in particolare dal ministro della Giustizia, quando erano stati nominati quattro dei nuovi giudici della Corte d’appello. Mentre il Ministro era stato autorizzato per legge a discostarsi dalla valutazione della proposta del Comitato, fatte salve determinate condizioni, aveva ignorato una fondamentale regola procedurale che lo obbligava a basare la sua decisione su indagini e valutazioni sufficienti. Questa regola costituiva un’importante garanzia per impedire al Ministro di agire per motivi politici o per altri motivi indebiti che minerebbero l’indipendenza e la legittimità della Corte d’appello, e la sua violazione di fatto equivaleva a ripristinare i poteri discrezionali precedentemente in capo al suo ufficio nella materia degli incarichi giudiziari, neutralizzando così gli importanti guadagni e garanzie delle riforme legislative. Erano state messe in atto ulteriori garanzie legali per porre rimedio alla violazione commessa dal Ministro, come la procedura parlamentare e la massima salvaguardia del controllo giudiziario davanti ai tribunali nazionali, ma tutte quelle garanzie si erano rivelate inefficaci, e la discrezionalità usata dal Ministro di non tener conto della valutazione del comitato di valutazione era rimasta senza restrizioni. Applicando il suo test in tre fasi, la Corte ha ritenuto che al ricorrente fosse stato negato il suo diritto a un “giudice” stabilito dalla legge “in ragione della partecipazione al suo processo di un giudice la cui nomina era minata da gravi irregolarità che avevano compromesso l’essenza stessa di tale diritto.
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