Pronunciandosi sul ricorso proposto avverso la ordinanza con cui il tribunale del riesame, nel confermare l’ordinanza del GIP applicativa della misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, in relazione al reato di atti persecutori (stalking), la Corte di Cassazione (sentenza 19 novembre 2020, n. 32544) – nel disattendere la tesi difensiva, secondo cui il materiale indiziario sarebbe stato costituito, tra l’altro, da videoriprese registrate in luogo di pertinenza condominiale, inutilizzabili perché non sottoposte a preventivo provvedimento autorizzativo delle intercettazioni – ha invece ribadito che si tratta di videoriprese non effettuate dalla polizia giudiziaria e che non possono essere assimilate, quanto ai presupposti di ammissibilità, ad intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, di cui all’art. 266 c.p.p., sicché nel caso di immagini registrate derivanti da videoregistrazioni provenienti da privati, installate a fronte anche di esigenze di sicurezza delle parti comuni, poi acquisite come documenti ex art. 234 c.p.p., e non quale prova atipica, i fotogrammi estrapolati da detti filmati non possono essere considerati prove illegittimamente acquisite e non ricadono nella sanzione processuale di inutilizzabilità.
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