Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la ordinanza con cui il tribunale del riesame aveva respinto l’istanza dell’indagato contro il provvedimento del GIP che gli aveva applicato la misura cautelare dell’obbligo di dimora per il delitto di inquinamento ambientale, per aver pescato abusivamente, con metodo di raccolta distruttivo del substrato roccioso, poco meno di 1 kg di corallo rosso Mediterraneo (Corallium rubrum), la Corte di Cassazione (sentenza 21 maggio 2020, n. 15596) – nel disattendere la tesi difensiva, secondo cui non poteva sostenersi che il prelievo di circa 900 grammi di corallo rosso integrasse gli estremi del predetto delitto, dovendosi ritenere invece applicare quanto previsto dal decreto direttoriale emesso dal direttore generale del Ministero delle politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo n. 26287 del 21 dicembre 2018 per il caso di pesca del corallo in assenza di licenza – ha diversamente affermato il principio secondo cui, da un lato, le condotte di deterioramento o compromissione del medesimo bene ambientale integrano singoli atti di un’unica azione lesiva che spostano in avanti la cessazione della consumazione, sino a quando la compromissione o il deterioramento diventano irreversibili, o comportano una delle conseguenze tipiche previste dal successivo reato di disastro ambientale di cui all’art. 452 quater c.p.; dall’altro, che il richiamato decreto direttoriale prevedendo che «salvo che il fatto non costituisca più grave reato, i trasgressori alle disposizioni del presente decreto saranno sanzionati ai sensi del Decreto legislativo 9 gennaio 2012, n. 4; omissis», risolve il problema posto dall’indagato, non essendovi dubbio circa l’applicabilità della fattispecie delittuosa prevista dall’art. 452 bis c.p.