Pronunciandosi su un caso “portoghese” in cui si discuteva della legittimità della condanna inflitta in appello, a seguito del “ribaltamento” della sentenza assolutoria di primo grado, nei confronti di un avvocato, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato, all’unanimità (sentenza 25 febbraio 2020 (n. 78108/14), che vi era stata una violazione dell’articolo 6 § 1 (diritto a un processo equo) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il caso era stato originato dalla condanna di un avvocato per aver registrato una conversazione con un uomo d’affari che gli aveva offerto del denaro per ottenere che suo fratello, consigliere comunale di Lisbona, ritirasse la sua opposizione alla stipula di un contratto che l’imprenditore voleva concludere con il consiglio comunale. La Corte di Strasburgo ha riscontrato che il ricorrente non aveva beneficiato di un processo equo in quanto la Corte d’appello, che aveva condannato il ricorrente per la prima volta in secondo grado, non aveva assunto direttamente le prove. La Corte ha anche rilevato una serie di omissioni, che avevano rivelato come il ragionamento condotto dalla Corte di appello fosse viziato. Infine, ha rilevato una mancanza di imparzialità da parte della Corte d’appello al momento della sentenza, ad esempio, quanto all’ammenda inflitta al ricorrente.
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