Segnaliamo la sentenza n. 16458 del 18 febbraio 2020 (dep. 29 maggio 2020) della Terza sezione della Corte di cassazione. La pronuncia, che a nostro parere merita di essere criticamente attenzionata, correla la valenza probatoria degli accertamenti e delle valutazioni compiute dal consulente tecnico del pubblico ministero al fatto che questi – al pari del p.m. (v. art. 358 c.p.p.) – non sia “portatore di interessi di parte”. Ebbene, pur senza soffermarsi sull’effettività pratica del richiamato art. 358 c.p.p. ed evitando altresì di discorrere intorno all’obbligo di verità del consulente nominato dalla parte (sia essa pubblica o privata) rispetto a quanto è previsto ex lege per il perito, può osservarsi che il ragionamento compiuto dai giudici di legittimità è – a monte – logicamente fallace. Sul punto, infatti, incorre quantomeno nella fallacia del non sequitur (o, più comunemente, del post hoc ergo propter hoc), poiché il valore probatorio degli argomenti si misura sulla loro capacità ricostruttiva e quest’ultima non necessariamente discende dal ruolo che ricopre chi se ne fa portavoce o dalla provenienza delle affermazioni da un ambiente (quello pubblico) piuttosto che da un altro (quello privato; o viceversa).
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