Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello aveva riformato la sentenza assolutoria del Tribunale nei confronti di un avvocato per il reato di truffa aggravata, avendo fatto sottoscrivere ad una cliente un foglio in bianco dicendole che lo avrebbe riempito con il mandato professionale, poi invece inserendovi un patto di quota-lite non concordato, e provvedendo poi ad intascare oltre 350.000€, la Corte di Cassazione (sentenza 1 aprile 2020, n. 11030)– nel disattendere la tesi difensiva, secondo cui, non essendosi proceduto all’integrale rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, non sarebbe stato superato il “ragionevole dubbio” – ha diversamente ribadito che integra il reato di truffa la condotta dell’avvocato che, approfittando del rapporto fiduciario e dell’estraneità alle questioni giuridiche della persona offesa, proponga e faccia sottoscrivere al proprio assistito il patto di quota lite, tacendone l’entità sproporzionata dell’importo derivante a titolo di compenso delle prestazioni professionali.