Pronunciandosi su un caso “italiano” in cui si discuteva della legittimità della condanna per il reato di diffamazione, inflitta a due giornalisti del settimanale “Gente”, per aver pubblicato a distanza id 25 anni dalla morte, un articolo ritenuto diffamatorio riguardante le oscure vicende dell’assassinio del giornalista Walter Tobagi, avvenuto nel 1980, la Corte di Strasburgo ha ritenuto, all’unanimità (sentenza 16 gennaio 2020 n. 59347/11), che vi fosse stata la violazione dell’articolo 10 (liberà di espressione) della Convenzione EDU. Il caso riguardava la condanna per diffamazione di due soggetti, il giornalista ed il direttore editoriale del settimanale “Gente”, a seguito della pubblicazione di un articolo sull’omicidio nel 1980 del giornalista Walter Tobagi, assassinato da un gruppo terroristico vicino alle Brigate Rosse. Per quanto riguarda le notizie raccolte basate su interviste, la Corte EDU ha ribadito la sua precedente giurisprudenza, che impone la necessità di fare una distinzione tra le dichiarazioni del giornalista e quelle fatte da terzi e riportate in un articolo. Nel caso di specie, la Corte di Strasburgo ha rilevato che i giudici italiani non avevano differenziato tra le dichiarazioni del primo ricorrente e quelle rese da D.C., ossia la fonte delle dichiarazioni del giornalista, fonte che era stata citata nell’articolo. La Corte ha anche osservato che i due ricorrenti avevano prodotto un numero assai elevato di documenti e prove sostanziali dei fatti che consentivano di considerare la versione dei fatti, presentata nell’articolo, credibile e fondata su una solida base fattuale. La Corte EDU ha anche rilevato che le dichiarazioni “incriminate” erano relative ad eventi risalenti alla fine del 1979 e che l’articolo era stato pubblicato 25 anni più tardi, nel 2004. In conclusione, la Corte di Strasburgo ha ritenuto che i giudici italiani, accertando che le osservazioni di D.C. non erano veritiere ed erano contrarie alla “verità per come stabilita dai tribunali in ultima istanza”, non avevano fornito motivi pertinenti e sufficienti per valutare le informazioni fornite dai due ricorrenti.
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