Il tempo che intercorre tra la definizione della fase cognitiva e l’inizio di quella esecutiva non può essere conteggiato ai fini della valutazione della ragionevole durata del processo. Nel computo della durata del processo di cognizione ed esecutivo, da considerare unitamente ai fini del riconoscimento dell’indennizzo ex art. 2 Legge n. 89/2001, non deve essere conteggiato come “tempo del processo” quello intercorso tra la definitività della fase di cognizione e l’inizio della fase esecutiva. Detto spazio temporale può rilevare, invece, ai fini del ritardo di esecuzione come autonomo pregiudizio indennizzabile, in via diretta ed esclusiva in assenza di un rimedio interno, con ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo. È quanto si evince dalla lettura della sentenza della Cassazione del 21 maggio 2020, n. 9390.
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