Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello aveva confermato la condanna inflitta ad un tifoso di una squadra di calcio per i reati di diffamazione ed istigazione a delinquere, per aver postato su Facebook alcuni messaggi di offesa alla reputazione di un calciatore della squadra, istigando anche i tifosi della medesima squadra di calcio, in cui la vittima aveva militato, a raggiungere casa di quest’ultimo e lì compiere in suo danno azioni delittuose, la Corte di Cassazione (sentenza 15 ottobre 2020, n. 28686) – nel disattendere la tesi difensiva, secondo cui sarebbero mancate le prove dell’uso del PC che era servito a postare i messaggi incriminati e dell’utilizzo del telefono cellulare della sorella dell’imputato proprio il giorno in cui egli si trovava presso il luogo di residenza della vittima – ha diversamente affermato, , quanto al primo punto, che non vi erano incertezze sull’attribuzione al reo dell’uso del PC (stante il rinvenimento nella memoria del PC, di materiale direttamente connesso al compimento delle condotte, senza che il reo avesse mai opposto di non averne la disponibilità), e, quanto al secondo punto, che dalla consultazione dei tabulati del traffico telefonico si era rilevato che il reo si trovava nella zona ove risiedeva la vittima, da cui aveva effettuato i collegamenti con il telefono cellulare intestato alla sorella.
Call Now Button