Pronunciandosi su un caso “francese” in cui si discuteva della legittimità della condanna alla pena pecuniaria di 3000 euro inflitta dai giudici penali ad un giornalista che aveva pubblicato notizie riservate apprese in violazione del segreto istruttorio e relative ad indagini in corso, la Corte EDU ha escluso, all’unanimità, che vi fosse stata una violazione dell’articolo 10 (libertà di espressione), della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il caso riguardava, come anticipato, la condanna di un giornalista per aver utilizzato informazioni ottenute in violazione del segreto professionale, a seguito della pubblicazione di un’immagine composita elaborata dalle forze dell’ordine e collegata ad un’indagine in corso. La Corte non ha individuato alcun motivo valido per mettere in discussione la valutazione fatta dai tribunali nazionali, che avevano riscontrato, in primo luogo, che l’interesse ad informare il pubblico non aveva giustificato l’uso nell’articolo delle prove in questione e, in secondo luogo, che la pubblicazione del materiale aveva avuto un impatto negativo sullo svolgimento del procedimento penale. Alla luce di queste considerazioni, e tenuto conto del margine di apprezzamento lasciato agli Stati e del fatto che il bilanciamento degli interessi concorrenti in gioco fosse stato condotto correttamente dai tribunali nazionali, che avevano applicato i criteri pertinenti secondo la giurisprudenza della Corte EDU, i giudici di Strasburgo (sentenza 17 dicembre 2020, n. 61470/15) hanno concluso che non vi era stata violazione dell’articolo 10 della Convenzione a tutela della libertà di espressione.
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