Pronunciandosi sul ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello, nel sovvertire l’esito assolutorio del primo giudizio, aveva condannato un extracomunitario per il reato edilizio di cui all’art 44, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, perché, quale legale rappresentante di un’associazione, locataria di un immobile, l’aveva utilizzato difformemente alla destinazione d’uso di negozio, adibendolo a luogo di assembramento per la celebrazione dei riti islamici, in assenza del permesso a costruire, la Corte di Cassazione (sentenza 31 luglio 2020, n. 23420) – nell’accogliere la tesi difensiva, secondo cui l’Associazione usava i locali per tutte le attività sociali, mentre la preghiera pubblica era un’attività secondaria ed occasionale il venerdì, difettando qualsiasi stabilità nell’utilizzo di quell’immobile come luogo di culto – nel richiamare un importante precedente della stessa Cassazione di appena un anno fa, ha affermato che non basta a configurare il mutamento della destinazione d’uso la semplice riunione in preghiera in un giorno della settimana, poiché di uso incompatibile o difforme può parlarsi se l’attività di preghiera non sia riservata solo ai membri dell’associazione o se il fine religioso rivesta carattere di prevalenza nell’ambito degli scopi statutari o effettivamente perseguiti da parte dell’associazione.
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