Pronunciandosi su un caso “polacco” in cui si discuteva della legittimità della perquisizione disposta nei confronti del ricorrente da parte del Pubblico Ministero, la Corte EDU ha ritenuto, all’unanimità, violato l’articolo 8 (diritto al rispetto della casa privata e familiare), della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il caso riguardava una perquisizione domiciliare disposta presso l’abitazione del ricorrente in relazione ad alcune indagini di polizia sulla distribuzione illegale di volantini contenenti informazioni sullo stipendio del sindaco del Comune di Dąbrowa Tarnowska e recante la sua effigie. Nel corso di tale attività di indagine, la polizia era stata informata che il ricorrente avrebbe potuto essere in possesso di tali volantini. Il pubblico ministero aveva quindi autorizzato la perquisizione domiciliare presso l’abitazione del ricorrente finalizzata ad assicurare possibili elementi di prova. L’esito della perquisizione era stato negativo. Il ricorrente aveva impugnato in sede civile il decreto di perquisizione, sostenendo che il provvedimento non era sufficientemente motivato e che non vi era stata alcuna giustificazione per violare il suo domicilio. I giudici avevano però respinto la sua azione giudiziaria, stabilendo che la perquisizione era lecita e giustificata, poiché era l’unico modo per verificare se egli fosse stato in possesso dei volantini illegalmente distribuiti. La Corte di Strasburgo, accogliendo il ricorso dell’interessato, ha ritenuto (sentenza 29 ottobre 2020, n. 71205/11) che il fatto che la perquisizione dell’appartamento abitato dal ricorrente fosse stata ordinata in relazione a un reato di modesta entità presumibilmente commesso da una terza persona, la stessa era da ritenersi disposta senza adeguati e sufficienti motivi e, dunque, non poteva essere considerata proporzionata alle finalità pur legittime perseguite, non essendo quindi “necessaria in una società democratica”.
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