Pronunciandosi su un caso “ucraino” in cui si discuteva della legittimità della condanna inflitta al conducente di un’autovettura che, dopo aver investito un pedone, si era presentato in ospedale per sincerarsi delle sua condizioni di salute, venendo però contattato da un poliziotto cui aveva reso dichiarazioni autoaccusatorie, firmando anche una sorta di “memoriale” in cui descriveva lo svolgimento dei fatti, la Corte di Strasburgo ha ritenuto (sentenza 10 dicembre 2019, n. 36600/09), all’unanimità, che vi fosse stata solo la violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, per essere durato il procedimento nei suoi confronti quasi 5 anni, mentre ha escluso, da un lato, che fosse stato violato il diritto a non autoaccusarsi ed il diritto all’assistenza legale, ambedue tutelati dall’art 6 (diritto al giusto processo) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Si tratta di una decisione che, al di là del caso concreto esaminato, riveste particolare interesse in quanto consente di fare il punto della situazione sulla giurisprudenza della Corte di Strasburgo su temi di così rilevante interesse.
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