Pronunciandosi su un caso “armeno” in cui si discuteva della legittimità della condanna inflitta ad un pubblico ufficiale per i reati di truffa e corruzione grazie anche alle audio e videoriprese eseguite nei suoi confronti per acquisire elementi di prova a carico, la Corte di Strasburgo ha ritenuto, all’unanimità (sentenza 5 dicembre 2019 (n. 43478/11), che vi era stata una violazione dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), mentre ha escluso che fosse stato violato l’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (diritto al giusto processo). Il caso riguardava la denuncia della ricorrente secondo cui la polizia non aveva ricevuto una valida autorizzazione del giudice per sottoporla ad attività di video e audio sorveglianza durante un’indagine penale. La Corte ha riscontrato in particolare che il provvedimento del giudice non era sufficientemente specifico nell’indicare la persona oggetto della misura di sorveglianza, e l’incertezza e genericità della motivazione sul punto erano inaccettabili, soprattutto quando comportano una così grave interferenza con il diritto al rispetto della vita privata e familiare, come nel caso delle attività di video e audio sorveglianza eseguite “segretamente”. Inoltre, il provvedimento del giudice non elencava le misure specifiche che avrebbero dovuto essere disposte nei confronti del destinatario. Nel complesso, la misura di sorveglianza non poteva dirsi aver avuto un sufficiente controllo giudiziario e si era dunque posta in conflitto con la Convenzione EDU.
Call Now Button