Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello, confermando quella di primo grado, aveva ritenuto un medico responsabile del reato continuato di falso ideologico in atto pubblico e fraudolenta predisposizione di documenti relativi ad un sinistro, redigendo un falso certificato di visita e di diagnosi di trauma contusivo nei confronti del figlio di un magistrato, intercettato in altro procedimento, la Corte di Cassazione (sentenza 9 aprile 2020, n. 11745) – nell’accogliere la tesi difensiva, secondo cui la condanna era viziata dall’inutilizzabilità delle intercettazioni, disposte ed eseguite per reati non connessi o collegati a quelli per i quali si procedeva nei confronti del medico, in quanto relativi a fatti commessi da un giudice sotto intercettazione – ha ribadito, applicando un principio recentemente affermato dalle Sezioni Unite che il divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli nei quali dette intercettazioni siano state autorizzate, previsto in linea generale dall’art. 270 c.p.p., non opera — oltre ai casi nei quali i risultati siano indispensabili per l’accertamento di reati in ordine ai quali sia obbligatorio l’arresto in flagranza, fra i quali non è compreso quello in esame — con riguardo a reati che presentino connessione, nelle ipotesi di cui all’art. 12 c.p.p., con quelli oggetto dell’iniziale autorizzazione, né è sanato dall’essere stato definito il processo con rito abbreviato.