Pronunciandosi sul ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’Appello aveva confermato la decisione del Tribunale, che aveva condannato l’imputato per il concorso in un tentativo di falso per induzione in atto pubblico, per avere suggerito, in collegamento via cellulare con il coimputato, le risposte che quest’ultimo doveva rendere ai test per la prova teorica finalizzata al conseguimento della patente di guida, senza riuscite nell’intento per cause indipendenti dalla propria volontà, la Corte di Cassazione (sentenza 3 settembre 2020, n. 25027) – pur accogliendo la tesi difensiva, secondo cui, il fatto avrebbe dovuto essere ricondotto alla fattispecie (speciale rispetto al falso ideologico per induzione), di cui alla I. 19 aprile 1925, n. 475 – ha riqualificato giuridicamente il fatto, rilevando che quest’ultimo rientrasse giuridicamente nell’ipotesi di cui all’art. 2, l. citata, posto che il “procurare lavori”, cui si riferisce la norma, può consistere anche nel fornire oralmente al candidato, che debba affrontare la prova scritta l la risposta alle domande, sì da consentirgli il confezionamento di una prova presentata come propria, la cui paternità, invece, non gli appartiene.
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